Ambiente: nel mondo ogni due giorni un attivista viene assassinato
Sono almeno 177 gli attivisti ambientali uccisi nel 2022 secondo il report del Global Witness. Nove su dieci in America Latina, la Colombia il Paese maggiormente colpito e la regione amazzonica l’epicentro regionale.
Sono almeno 177 gli attivisti che si battono per il clima, l’ambiente e la difesa della terra assassinati nel 2022 in tutto il mondo. Questo quanto pubblicato dall’organizzazione indipendente Global Witness. Secondo l’ultimo report, tra il 2012 e il 2022, è salito a 1.910 il numero delle persone assassinate per questi motivi.
I dati implicano che nel 2022 ogni due giorni una persona è morta cercando di proteggere il pianeta, in particolare in America Latina dove è avvenuto l’88% degli omicidi di attivisti per l’ambiente, con un epicentro evidente: la regione amazzonica. Un omicidio su cinque (39 in tutto, il 22%) ha avuto luogo nella più grande foresta tropicale del pianeta, un territorio minacciato dall’estrattivismo e dall’appropriazione di terre per l’allevamento, il legname e le grandi coltivazioni intensive.
Global Witness evidenzia tra gli omicidi “quello del giornalista britannico del Guardian Dom Phillips e quello di Bruno Pereira, esperto in popoli indigeni, assassinati lo scorso giugno mentre attraversavano il territorio indigeno nella regione amazzonica del Brasile”, ricordando che dal 2014 sono state assassinate non meno di 296 persone che difendevano le terre dell’Amazzonia. Si tratta di un’area dove “la violenza, la tortura e le minacce sono una realtà per le comunità dell’intera regione”, denunciano dal Global Witness.
In Colombia un terzo degli omicidi
Il maggior numero di omicidi di attivisti per l’ambiente è avvenuto in Colombia: 60 in totale, un terzo di tutti gli omicidi e quasi il doppio rispetto all’anno precedente. “Nonostante la Colombia abbia ratificato ad ottobre 2022 un importante accordo regionale giuridicamente vincolante che obbliga il Governo a prevenire e perseguire le aggressioni contro gli attivisti, la cifra degli omicidi registrati è quasi raddoppiata rispetto al 2021”, segnala l’organizzazione indipendente.
Dal 2012 nel Paese sono morte almeno 382 persone perché combattevano gli interessi di diversi gruppi, facendo della Colombia il Paese al mondo in cui chi decide di esporsi per difendere il pianeta è maggiormente in pericolo.
Seguono Brasile, con 34 omicidi nel 2022; Messico, 31; e Honduras, 14. Al di fuori del continente americano, le Filippine sono il Paese in cui lo scorso anno sono avvenuti più omicidi. Tuttavia, se si considera tutto il decennio, il Paese insulare sorpassa il Messico per numero di omicidi. Se il Brasile ne ha registrati 376, e le Filippine 281, il Messico ne conta almeno 185 e Honduras 131. Seguono, nell’ordine, Guatemala, India, Repubblica Democratica del Congo, Nicaragua e Perù, Paesi che contano tra i 50 e i 100 omicidi tra il 2012 e il 2022.
“Per troppo tempo i responsabili di aggressioni mortali contro gli attivisti l’hanno fatta franca”, sottolinea Shruti Suresh, co-direttrice delle campagne di Global Witness. “È necessaria un’azione congiunta a livello regionale, nazionale e internazionale per porre fine alla violenza e all’ingiustizia che si trovano ad affrontare. Troppe vite sono andate perdute. Non possiamo permetterci il lusso di perderne ancora”.
Criminalizzazione e impunità
Gli omicidi non sono però l’unica forma di violenza che patisce chi rischia per difendere il pianeta. “Oltre alle aggressioni mortali, quanti difendono l’ambiente sono sempre più spesso oggetto di criminalizzazione come strategia per metterli a tacere, e le leggi vengono usate come arma contro di loro”, spiegano dall’organizzazione, che sollecita tutti i governi affinché mettano in atto con urgenza maggiori tutele per gli attivisti e ne riconoscano il contributo nella lotta contro l’emergenza climatica: sono molto pochi, infatti, gli assassini che finiscono davanti alla giustizia poiché, sottolinea l’associazione, i governi di tutto il mondo non perseguono adeguatamente questi crimini, generando impunità e favorendo nuovi attacchi.
Particolarmente colpite sono le comunità indigene, che affrontano “un livello sproporzionato di aggressioni mortali”, con un terzo (34%) delle vittime di tutto il 2022, pur rappresentando solo il 5% circa della popolazione mondiale. Le comunità indigene sono minacciate da attività che vanno dall’estrazione dell’oro allo sfruttamento forestale.
Sui legami di società e multinazionali con gli omicidi, “imprese con sede nel Regno Unito, nell’Unione Europea e negli Stati Uniti sono state messe in relazione con violazioni dei diritti umani commessi contro queste comunità”, denunciano, “è stato scoperto oro estratto illegalmente dalle terre dei kayapós nella filiera di Chimet, raffineria italiana di metalli preziosi, e dell’impresa mineraria Serabi Gold*”.
Laura Furones, Consulente Senior della Campagna Land and Environmental Defenders, ha dichiarato che “studi hanno dimostrato più e più volte che le popolazioni indigene sono le migliori custodi dei boschi e sono perciò imprescindibili per mitigare la crisi climatica. Eppure, proprio per questo in Paesi come il Brasile, Perù e Venezuela sono sotto assedio”.
Nonostante più di un centinaio di Paesi abbiano firmato alla COP26 la Dichiarazione di Glasgow, con la quale si sono impegnati a mettere un freno alla deforestazione entro il 2030, nel 2022 è andato perduto il 10% in più di foreste vergini rispetto all’anno precedente. “Ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata e stiamo sprecando tempo prezioso, e non ne abbiamo”, denuncia Furones. “Dobbiamo riconoscere che, affinché non scompaiano i boschi, è indispensabile proteggere chi li considera casa. Le misure contro la crescente crisi climatica e la difesa dei diritti umani devono andare di pari passo”.
*Non si vuole intendere che raffinerie o società abbiano commissionato direttamente violazioni dei diritti umani nelle regioni minerarie del Brasile.
Traduzione di Valentina Cicinelli via elsaltodiario.com
Immagine di copertina via Karina Iliescu / Global Witness