Pakistan: linea dura sull’immigrazione
Uscita volontaria o rimpatrio forzato: queste le opzioni per i rifugiati non regolarizzati. La comunità afghana la più colpita, con 1 milione e 700 mila ancora in attesa di registrazione.
La questione immigrazione, in Pakistan, diventa sempre più difficile. Lo scorso 3 ottobre il ministro dell’Interno Sarfraz Bugti ha dichiarato un rigido giro di vite per i richiedenti asilo: entro Novembre, chiunque non abbia raggiunto lo status di “rifugiato”, dovrà lasciare il Paese. Se non lo farà in modo spontaneo andrà incontro all’arresto e al rimpatrio coatto.
La nuova disposizione è rivolta a qualsiasi immigrato, non soltanto a quelli provenienti dall’Afghanistan, ma sono proprio questi ultimi a rappresentare la stragrande maggioranza. E sono gli afghani che, negli ultimi anni, continuano a subire pressioni e ritorsioni da parte del Governo pakistano che – invece di accoglierli perché in fuga dal regime talebano – si rivalgono su di loro con arresti random, confische e multe per le frequenti tensioni al confine.
L’ultima minaccia di espulsione è arrivata in seguito a nuovi episodi di terrorismo: l’ultima settimana di settembre, un attacco suicida in una moschea di Mustung aveva ucciso 50 persone. Poco dopo era toccato a Hangu, provincia di Khyber, contare 5 decessi. E lo scorso 14 settembre, 11 persone, tra cui il leader del partito religioso Jamiat Ulema Islam (JUI), Hafiz Hamdullah, sono rimaste ferite in un altro attentato dinamitardo.
HfHr strongly condemns Pakistan's policy to deport Afghan migrants. It disregards their safety and rights, goes against compassion, and risks their lives. We urge the intl community to join us in condemning this injustice. #AfghanRefugees #Pakistan https://t.co/g2PqA0WX2M
— Hindus for Human Rights (@Hindus4HR) October 20, 2023
Il JUI aveva già subito un attacco lo scorso luglio, durante una manifestazione politica, per cui morirono in 63 ed oltre 100 rimasero feriti. Quest’ultimo attentato era stato rivendicato dal gruppo jihadista Stato islamico di Khorasan, una filiale locale del gruppo terroristico Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP). L’ultima esplosione, invece, sembra non essere collegata all’organizzazione.
Secondo Bugti, nel 2023 in Pakistan si sono registrati 24 attacchi suicidi. Per questo “dal 1° novembre non sarà consentito l’ingresso in Pakistan senza un passaporto e un visto validi. E da questo momento – ha continuato il Ministro – verranno confiscate le proprietà e le imprese di immigrati illegali anche se gestite in collaborazione con pakistani”.
Per Kabul, la posizione pakistana è “Inaccettabile”. Il governo talebano ha più volte rimarcato di non avere contatti o legami con i mandanti degli attentati: per il portavoce dell’amministrazione talebana in Kabul, Zabihullah Mujahid, “i rifugiati afghani non sono coinvolti nei problemi di sicurezza pakistani”. D’altro canto, Kabul denuncia che il Pakistan abbia già iniziato ad individuare ed arrestare gli afghani in loco, a prescindere dalla loro regolarità.
Afghans in UK visa limbo as Pakistan vows to expel migrants https://t.co/OCaSCOtH1x
— BBC News (UK) (@BBCNews) October 13, 2023
L’immigrazione in Pakistan degli afghani non è un fenomeno recente: nasce all’epoca dell’occupazione sovietica del 1979-1989 e da allora ha creato una delle più grandi popolazioni di rifugiati al mondo. Nel corso di questi ultimi 40 anni altri afghani sono fuggiti e, in particolare,circa 100.000 di essi hanno lasciato il proprio Paese da quando i talebani hanno preso il controllo nell’agosto 2021. Oggi, quindi, secondo l’ONU in Pakistan vivono 3,7 milioni di afghani: a fronte di 1,4 milioni i “rifugiati”, gli altri non hanno ancora uno stato regolamentato.
Il motivo della mancanza di registrazione, di norma, non è legato alla volontà delle persone: la procedura per ottenere la “prova di registrazione” o il rinnovo della stessa da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) è piuttosto lunga. Un rapporto di Amnesty del 2022 parla anche di 10 mesi d’attesa per poter avere l’agognata carta.
Naturalmente, regolarizzare gli immigrati significa garantire loro l’accesso a un lavoro regolare, nonché il diritto all’istruzione e al sistema sanitario nazionale. E, in particolare, significa uscire da un limbo in cui si è spesso preda: sfruttamento lavorativo, sopraffazioni, vessazioni e, addirittura, richiesta di denaro da parte della stessa polizia – come denunciato nel rapporto di Amnesty. Ed è proprio l’ONG che, in questi, giorni è tornata a sollecitare l’ACNUR per accelerare le procedure di regolamentazione.
La linea dura del Pakistan sull’immigrazione, in questo momento, inasprisce i rapporti con Kabul e appare anche di non facile attuazione. Intervenire su quasi 2 milioni di individui è prova ardua e ricordiamo che l’attuale Esecutivo, guidato da Anwaarul-Haq-Kakar, è in carica da agosto per traghettare il Paese alle elezioni di Gennaio.
Articolo a cura di Sara Gullace
Immagine di copertina via twitter.com/Hindus4HR