Il femminismo occidentale e le sue zone d’ombra in Medio Oriente
Maryam Aldossari, ricercatrice in materia di disuguaglianze di genere in Medio Oriente, lancia un j’accuse: le femministe occidentali di spicco stanno inviando un messaggio chiaro e forte alle donne palestinesi: la vostra sofferenza non conta.
Nell’epoca attuale, in cui le piattaforme digitali esercitano un’influenza senza pari, X – precedentemente noto come Twitter – è la cosa più vicina che abbiamo a una piazza pubblica globale. Dentro questo grande mercato di idee, scrive su AlJazeera.com Maryam Aldossari – ricercatrice in materia di disuguaglianze di genere in Medio Oriente – un sottoinsieme di femministe occidentali ha unilateralmente assunto un ruolo guida, presentandosi come custodi di ciò che una vera “femminista” è e di ciò che veramente è il “femminismo”.
Dal 7 ottobre, queste “femministe di punta” tempestano questo panorama digitale di cruciale importanza con post che condannano con veemenza l’attacco di Hamas in Israele, mentre giustificano oppure semplicemente ignorano la punizione collettiva conseguentemente inferta a più di due milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza, tutt’ora in corso. Alcune persino arrivano a concepire i bombardamenti indiscriminati di Israele e l’assedio totale alla piccola enclave – che ha già preso le vite di oltre 5.000 uomini, donne e bambini – come accettabile ritorsione per le azioni di Hamas e legittima “autodifesa”.
Diciamolo con chiarezza: qui non è in discussione la loro condanna nei confronti della violenza che Hamas ha inflitto alle donne israeliane, ma la loro apparente indifferenza – e in alcuni casi l’entusiastico sostegno – alla violenza attualmente esercitata sulle donne palestinesi.
I wrote this short piece for @AJEnglish Western feminism and its blind spots in the Middle East | Women's Rights | Al Jazeera https://t.co/UfOUB5S8Iw
— Maryam Aldossari (@maryam_dh) October 23, 2023
Queste cosiddette femministe non solo non mostrano alcuna empatia o supporto verso l’annosa sofferenza delle donne palestinesi, ma si uniscono anche agli sforzi sempre maggiori volti a silenziare chiunque esterni un briciolo di compassione nei loro confronti.
Ogni volta che qualcuno, specialmente qualcuno con un certo profilo pubblico, posta un messaggio su X in supporto alla Palestina ammettendo la sofferenza decennale del popolo palestinese sotto l’occupazione e l’opressione di Israele, si trova di fronte alle solite domande tendenziose: “Sostieni Hamas?”, “Condanni gli attacchi contro i civili israeliani?”.
In risposta, alcune persone sentendosi intimidite fanno marcia indietro, altre rifiutano di farsi coinvolgere oppure sfidano i pregiudizi di questi autoproclamati interrogatori. Ma qualunque sia la loro reazione, si trovano a fronteggiare la stessa raffica di offese, intimidazioni e insulti di coloro che “stanno con Israele”, incluse alcune insigni femmiste occidentali.
Formulazioni ed etichette come “antisemita”, “apologeta dello stupro”, “supposto allo stupro e al rapimento delle donne”, “supporto a un gruppo terrorista che governa con la Sharia” e, in particolare, “non vera femminista”, sono largamente diffuse.
Perciò voglio chiedere a tutte quelle femministe in Occidente che non solo postano messaggi, firmano dichiarazioni e scrivono articoli che supportano incondizionatamente il “diritto a difendersi” di Israele, ma si adoperano instancabilmente a “neutralizzare” chiunque osi accendere un riflettore sui decenni di sofferenza palestinese o invochi la fine dei bombardamenti indiscriminati su Gaza, che ogni signolo giorno uccidono e mutilano centinaia di donne e ragazze: questo lo chiamate femminismo?
Il vostro stile di femminismo, che a quanto pare si applica solo a una categoria preminentemente bianca, donne occidentali o allineate all’Occidente, è difficile da mandare giù. Condannate giustamente la violenza che Hamas ha inflitto alle donne israeliane. Eppure non solo tacete sulla sofferenza delle donne palestinesi, ma cercate di far tacere chiunque altro abbia abbastanza coraggio da dar loro voce.
Oggi le donne e i bambini di Gaza sono sotto pesante bombardamento e soffrono anche la fame grazie all’“assedio totale” di Israele. Non è un crimine contro le donne che merita attenzione e condanna? Come ci si può definire femministe e contemporaneamente giustificare, persino supportare, le azioni punitive e genocide di uno stato potente contro un popolo indifeso intrappolato in una prigione a cielo aperto? Come si può trascurare così facilmente l’esperienza straziante di centinaia di donne che non hanno il potere di cambiare le loro condizioni?
L’apparente indifferenza del femminismo occidentale verso dichiarazioni come quella del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, che paragona i palestinesi a degli “animali umani”, è profondamente allarmante.
Se il vostro femminismo non vi fa prendere le difese di un popolo che ha vissuto poco altro se non pulizia etnica, oppressione e occupazione fin dal 1948, che ha cercato di sopravvivere a un blocco paralizzante per 17 anni, che viene definito “animale”, e che ora sta affrontando quello che si può descrivere solo come genocidio, allora a che serve? Se questi fatti non vi spingono a prendere una posizione, è difficile immaginare cosa possa farlo. Le donne palestinesi sono forse non abbastanza donne da meritare il vostro patrocinio femminista?
Spero che vi pesi sulla coscienza: appoggiando il diritto di Israele a “difendersi” a ogni costo, state accettando la violenza contro donne e bambini – proprio quella parte di popolazione che dite di sostenere. Ignorando lo strazio del popolo palestinese, cercando di bollare come “antisemita” e “antifemminista” chiunque osi supportare la loro lotta, fate capire che non tutte le vite – non tutte le donne – hanno lo stesso valore ai vostri occhi.
Il vostro messaggio alle donne che cercano di sopravvivere sotto le bombe di Israele, donne che tengono in braccio i cadaveri dei loro figli uccisi, è forte e chiaro: voi non contate.
*Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’autrice e non necessariamente riflettono la posizione editoriale di Al Jazeera.
Traduzione di Sara Concato via aljazeera.com
Immagine di copertina via unwomen.org. Credits: UNICEF/Mohammad Ajjou