Il Sierra Leone verso un’agricoltura sostenibile e solidale

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Svolta epocale nel diritto fondiario: grazie al prezioso lavoro delle ONG due nuove leggi permetteranno agli agricoltori di mantenere il controllo sulle terre, tutelandosi nei confronti delle multinazionali.

In Sierra Leone la terra appartiene a chi la coltiva. Troppo spesso, tuttavia, chi lavora i campi non conosce i propri diritti a riguardo – o non sa come applicarli. La Rete della Sierra Leone per il Diritti all’Alimentazione (SilNoRF) e la non-profit di consulenza giuridica Namati sono impegnate per informare la popolazione rispetto ai benefici di una nuova iniziativa legislativa che “trasferisce il potere dai leader delle comunità e dai capi distretto alle persone che effettivamente possiedono e utilizzano la terra”. In un colpevole vuoto governativo, senza l’appoggio delle no-profit questa legge stenterebbe ad essere concretamente applicata.

Nel settembre 2022, dopo anni di attivismo e mobilitazione delle ONG SiLNoRF e Namati, sono state approvate due nuove leggi che cambiano radicalmente il rapporto tra territorio e popolazione che lo abita. Si tratta della Legge sui Diritti Fondiari Consuetudinari e della Legge sulla Commissione Fondiaria Nazionale.

Parità di genere rispetto alla proprietà della terra e capacità di negoziazione per gli agricoltori sono due aspetti chiave della nuova riforma. Anche alle donne, dunque, viene riconosciuta la proprietà terriera e i contadini avranno la responsabilità di contrattare il valore dei loro territori e di porre un veto sui progetti di utilizzo e sfruttamento – facoltà che in passato spettava solamente ai leader delle comunità.

Le nuove leggi vietano discriminazioni in base al sesso, alla tribù, alla religione, all’età, allo stato civile, allo stato sociale o economico sul diritto di possedere o utilizzare la terra. Nello specifico, prevedono diversi punti:

  • Diritto al consenso libero, preventivo e informato alle comunità locali rispetto ad eventuali i progetti industriali previsti sulle loro terre.
  • Stop allo sviluppo industriale, specie nelle nelle foreste secolari e in altre aree ecologicamente sensibili allo sfruttamento minerario, al disboscamento.
  • Integrazione delle condizioni delle licenze ambientali pubbliche negli accordi legali vincolanti tra comunità e aziende.
  • Istituzione di comitati locali composti per almeno il 30% da donne, per decidere sulla gestione delle terre della comunità. La quota di genere mira a rimediare alla frequente esclusione delle donne all’accesso e al controllo della terra, risultato importante nonostante la profonda arretratezza del Paese rispetto alle questione di genere.

Il Ministro del Territorio, Turad Senessie, aveva incoraggiato le nuove leggi: “Questa è una situazione vantaggiosa sia per le imprese che per i sierraleonesi, compresi i proprietari terrieri rurali“. Tale riforma delinea una situazione di coesistenza tra attività locali ed investimenti, evitando le tensioni e gli scontri cui si era abituati.

Questa legislazione si inserisce in un contesto dove almeno oltre il 20% dei terreni coltivabili era affittato a imprese straniere per attività minerarie e agricoltura su larga scala da cui le popolazioni locali hanno visto veramente pochi profitti. Gli agricoltori, infatti, avevano riferito di essere stati esclusi dai negoziati sugli investimenti e di non aver mai ricevuto le quote promesse.  Inoltre, le comunità avevano più volte portato alla luce gli impatti dannosi delle attività intensive sull’ambiente, tra cui deforestazione, smottamenti e erosione del suolo.

Un esempio lampante di questa situazione è rappresentato dalla Addax Petroleum, che nel 2010 ha impiantato una fabbrica per la coltivazione della canna da zucchero da trasformare in bioetanolo nel nord del Paese nei pressi di Tonka, cittadina di appena 300 abitanti. La petrolifera ha ottenuto dal governo della Sierra Leone 50 mila ettari per 50 anni: un intervento che in patria è stato definito come il più grande investimento della storia della nazione nord africana.

Fino a quel momento la prassi del luogo di coltivazione tradizionale non prevedeva assegnazioni e nomine sulla terra: chi coltiva un terreno lo possiede in una condizione di vuoto giuridico. Naturalmente, l’avvento delle imprese straniere e i conseguenti accordi governativi hanno cambiato tutto.

Peraltro la Addax si era installata non senza promesse: si parlava, infatti, di sostenibilità, sicurezza alimentare, scuole, ospedali, luce elettrica e lavoro per la popolazione locale. Impegni non mantenuti. E non solo disillusioni: secondo SiLNoRF la popolazione ha ricavato deforestazione e contaminazione delle acque, da cui sono derivati problemi di salute e una dieta più povera.

Anche per i lavoratori delle fabbriche non va meglio, considerati i ritardi nei pagamenti e l’assenza di strumenti di protezione da usare nelle loro attività. Nel frattempo la Addax, che ha venduto la maggioranza alla africana Sunbird, ha “differenziato” i suoi obiettivi virando verso il mercato europeo di alcool e disinfettanti.

Anche se ad oggi l’implementazione delle leggi procede lentamente, la Sierra Leone può rappresentare un modello nel continente africano: diverse ONG attive nell’Africa Occidentale ed Orientale hanno cominciato a guardare con interesse al diritto fondiario pensando al percorso fatto dalla piccola Repubblica.

Articolo a cura di Sara Gullace

Immagine di copertina via Flickr

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