È tempo di contrastare, davvero, la violenza di genere

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La violenza di genere entra nelle nostre case ogni giorno. Servono interventi immediati, ma ancora si fatica a capire la matrice del problema. La colpa e la responsabilità, così, continua a ricadere sempre sulle donne.

Le donne continuano a morire, ma è sempre colpa loro. Le vittime di femminicidio e stupro da inizio anno sono fin troppe ed è sempre più chiaro che si tratti di un problema sociale.

I media continuano a dare una definizione errata della questione, a spostare l’attenzione sulla mostruosità dell’uomo, ma serve solo a deumanizzarlo: ad uccidere non è stato un mostro, un uomo troppo innamorato o geloso. È stato un uomo. A stuprare non è stato un animale, è stato un uomo.

La volontà dell’uomo nei casi di femminicidio è evidente: se la donna non può essere sua, allora non può essere di nessun altro. Un’affermazione di potere e possesso. Questa è la base del femminicidio, estrema esternazione della violenza di genere. Ed è un problema che affonda le sue radici nella cultura patriarcale.

Questa è la base della violenza sessuale: la cultura dello stupro di cui è intrisa la nostra società. Una cultura per cui la donna è per sua natura sottomessa all’uomo e quest’ultimo ha potere su di essa, compreso il potere di decidere della sua vita.

Una cultura per cui è normale sia la donna a doversi difendere, a non dover attirare troppo l’attenzione, a restare in guardia e con la testa sulle spalle. Spoiler: ci stuprano anche se siamo attente e in tuta da ginnastica. Ci aggrediscono alle 3 di notte come alle 5 del pomeriggio.

Il fatto che i giornalisti ne parlino in modo errato determina un’accettazione da parte della società in questi termini, che non porteranno mai a puntare il riflettore dalla parte della vittima.

Perché le origini della società patriarcale sono così dure da sradicare?

Perché sono antiche e profonde.

È dall’antichità che le donne sono definite in base alla loro funzione affettiva e procreativa.

In sociologia, tutto il filone delle scienze essenzialistiche classiche si basava sulla differenza sessuale come dato naturale e immodificabile e, di conseguenza, la mascolinità e la femminilità venivano connesse alle caratteristiche ormonali, fisiche e riproduttive.

La donna, quindi, aveva come scopo sociale la maternità. Tutto ciò creava un ordine e un equilibrio nella società che doveva essere mantenuto.

Con l’avvento, poi, della modernità, si ampliano ulteriormente le differenze di genere: il processo di industrializzazione, infatti, crea una separazione netta tra il mondo dei rapporti familiari e quello dei rapporti economici.

Ciò crea la divisione dei compiti lavorativi: la donna assegnata alla casa e l’uomo al lavoro esterno. Si apre in questo modo la strada alla famiglia patriarcale. Dai ruoli di genere assimilati nel nostro sistema culturale vengono poi determinati i rapporti di potere.

Il patriarcato è un sistema politico-sociale secondo il quale gli uomini sono per loro natura dominanti, superiori a tutti quelli che ritengono deboli e hanno il diritto di guidarli e governarli e di mantenere quel predominio” scrive bell hooks (pseudonimo di Gloria Jean Watkins, scrittrice, attivista e femminista statunitense scomparsa nel 2021) ma di naturale in questo non c’è nulla. Tutto ciò si apprende in società, in famiglia, attraverso i mass media e donne e uomini hanno imparato a considerare naturale questa educazione mutilata. Per questo motivo serve fare un lavoro di decostruzione.

Se culturalmente si è da tempi immemori esposti ad una determinata socializzazione ai ruoli di genere, è evidente la difficoltà che oggi abbiamo nel riuscire ad abbattere determinati stereotipi e determinati modi di vivere una relazione.

Per il sociologo francese Pierre Bourdieu alla radice dell’asimmetria tra i generi c’è uno squilibrio gerarchico che si è affermato storicamente e che si riproduce con schemi di pensiero che vengono reiterati, mantenendo così uno status quo. In quello status quo, chi si trova in una posizione di privilegio, la vuole assolutamente mantenere.

La necessità di una consapevolezza

Nella società di oggi stiamo assistendo ad un progressivo sgretolamento di quelli che erano i tradizionali ruoli di genere, l’emancipazione femminile porta inevitabilmente ad un cambiamento nel come gli uomini iniziano a percepire loro stessi.

Oggi la donna si autodetermina nelle relazioni e in ambito lavorativo e, per quanto il gender gap sia ancora molto elevato, riesce maggiormente a far valere la propria presenza.

L’incertezza di non essere più i soli detentori di potere nella relazione di coppia porta ad un aumento della violenza proprio per riuscire a risentirsi dominanti e riprendere il controllo.

Serve diventare consapevoli dell’emergenza in cui ci troviamo. Troppe narrazioni continuano a spostare la responsabilità di ciò che succede sulla donna stessa che ha subito violenza, rendendola vittima due volte.

In questi ultimi giorni si è riaccesa l’attenzione sul tema a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin. La sua morte sembra aver aperto uno squarcio nell’opinione pubblica. Molte le movimentazioni studentesche e di associazioni che urlano di prendere coscienza del problema culturale che ha la nostra società, perché non più possibile e accettabile che una donna debba vivere nel terrore di interrompere una relazione.

Un caso, quest’ultimo, che ha rimesso al centro le discussioni su come prevenire ed eliminare la violenza di genere, quando invece il Governo Meloni ha tagliato il 70% delle risorse per la prevenzione della violenza contro le donne.

Non sono le donne a dover essere istruite su come salvarsi o proteggersi, è la società che deve cambiare. Sono le istituzioni che devono prendersi l’onere di istruire gli uomini a non uccidere, di impedire che la violenza di genere continui ad essere un problema quotidiano.

Al centro del dibattito anche l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva a partire dalla giovane età.

È necessario che gli uomini prendano posizione dalla parte delle donne, perché se è vero che non tutti sono stupratori o assassini, tutti sono parte del problema. Smettiamola con la retorica del “Not all men” perché, come diceva Michela Murgia, “nessuno è innocente se crede di dover rispondere solo di sé“.

Per tutti questi motivi siamo in piazza sabato 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Per far sentire la voce anche di tutte le donne che non ne hanno più, a cui è stata tolta per mano di un uomo. Non abbiamo bisogno di panchine rosse, abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale. Solo così quel numero, che ad oggi è arrivato a 106 femminicidi da gennaio 2023, potrà un giorno essere zero.

Giada Giancaspro

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