In Uganda dilaga il lavoro minorile: quando una soluzione?

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Il lavoro minorile in Uganda è una piaga che affligge anche la popolazione di rifugiati, ma il programma di tutela previsto dal Governo è in forte ritardo.

Fuggono dalla violenza e dall’instabilità del proprio Paese per ritrovarsi a fronteggiare povertà e sacrificio. Questa condizione, già avvilente per qualunque individuo adulto, fotografa il destino di parecchi bambini subsahariani. Ragazzini che lasciano la propria casa per fuggire da guerre civili o lotte intestine ma arrivano in una terra, l’Uganda, dove la sopravvivenza è da guadagnarsi lavorando. Spesso in condizioni molto faticose, correndo il rischio di compromettere la propria salute fisica e mentale.

Questo è quanto accade ai giovani migranti provenienti dal Sud Sudan, Paese afflitto da una guerra civile e da scontri tra governo e gruppi di ribelli. Queste persone cercano rifugio in Uganda e, nello specifico, nel campo rifugiati di Palabek, istituito nel 2017 a nord del Paese e vicinissimo al confine sudanese. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è qui che vivono 70mila dei 900mila sudanesi arrivati in Uganda – e il 60% di questi è minorenne. In Uganda si conta un totale di circa un milione e mezzo di rifugiati provenienti da Sudan, Etiopia, Somalia, Congo, Burundi, Rwanda ed Eritrea, distribuiti nei diversi campi di tutto il Paese.

I centri di accoglienza provvedono a una parte di sostentamento per gli ospiti, che spesso non soddisfa il fabbisogno completo delle famiglie. In un contesto scarsamente industrializzato, un territorio poco popolato e lontano dai centri urbani più grandi della nazione, con basse possibilità di impiego, tocca anche ai bambini darsi da fare. Spesso, le attività in cui sono coinvolti sono molto pesanti o pericolose  – come spaccare pietre, partecipare alla produzione di carbone o abbattere alberi.

Del resto, il lavoro minorile è una piaga che non riguarda soltanto i piccoli rifugiati, ma anche la popolazione locale. Secondo l’UNICEF, nelle regioni subshariane lavora un bambino su 5. Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) il 40% dei minori ugandesi svolge un’occupazione e il 58% dei bambini lavoranti ha tra i 5 e gli 11 anni. Ciò accade nonostante la legge stabilisca a 16 anni l’età minima per lavorare  – e, nel caso di mestieri più impegnativi e logoranti, l’età minima sale a 18 anni.

Nel 2022 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha studiato la condizione del lavoro minorile in Uganda, rilevando che il settore che offre più impiego è quello agricolo: coltivazioni di canna da zucchero, riso, tè, caffè, tabacco. Ma anche allevamento e pesca possono richiedere manodopera di bambini e ragazzini su diverse attività. Altri settori economici si macchiano di lavoro minorile, come ad esempio l’industria estrattiva (oro, sabbia e pietra), l’edilizia e i servizi domestici. Non manca, purtroppo, la prostituzione.

Secondo l’OIL le principali cause di tassi così alti di sfruttamento minorile sono legate a un insieme di motivi. La povertà, indubbiamente, è uno dei fattori principali. Questa, tuttavia, è accompagnata da vulnerabilità sanitaria (in Uganda l’impatto di HIV, Ebola e, ora, COVID è molto elevato), scarsa protezione sociale e poche opportunità di lavoro soddisfacente per gli adulti – che difficilmente riescono a sostentare un’intera famiglia. Tutto questo in un’area dove diritti civili e protezione legale sono quasi inesistenti. In aggiunta, la dispersione scolastica delle strutture gioca un ruolo fondamentale nell’allontanamento dei bambini dalle aule.

Nel 2021 il Ministro del Genere, del Lavoro e dello Sviluppo Sociale ha adottato il Secondo Piano d’Azione Nazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. Questa misura fa seguito alla legge di Protezione del Bambino del 2016  – che non viene rispettata, come abbiamo intuito. Il programma è su base quinquennale e punta ad alcune priorità: la definizione di un quadro giuridico, politico e istituzionale di maggiore tutela, l’istituzione di partenariati e coordinamento di vigilanza e applicazione delle norme già presenti e future, maggiore accesso alla protezione sociale, all’istruzione, allo sviluppo delle competenze e all’assistenza sociale, incentivi per sostenere sia la ricerca ed il monitoraggio della situazione che l’applicazione delle tutele.

L’obiettivo è ridurre il lavoro minorile del 4% entro il 2025, sottrarre e riabilitare 100mila bambini dallo sfruttamento e fornire formazione per lo sviluppo delle competenze ad altri 200mila. La scadenza non è certo lontana.

Articolo a cura di Sara Gullace

Immagine di copertina via hrw.org

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