Il Nicaragua di Ortega continua a reprimere l’opposizione

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Arbitrarietà di metodo e violazione dei diritti civili sono ormai abitudine per contrastare gli oppositori, nel Nicaragua di Daniel Ortega. La denuncia degli avvocati di Difesa Giuridica.

Nicaragua di Ortega

Daniel Ortega, Presidente del Nicaragua. Immagine di Cubadebate (Fonte: Flickr.com, con licenza CC BY-NC-SA 2.0 Deed )

Una repressione messa in atto tra il sistema giuridico e quello carcerario è il destino dei detenuti politici nel Nicaragua di Daniel Ortega. In un report di quindici giorni fa, l’Unità di Difesa Giuridica (UJD) – Organizzazione di avvocati che supervisiona i processi dello Stato centroamericano – denuncia un sistema fatto di arbitrarietà, violazioni di diritti civili e umani verso i prigionieri di natura politica, arrestati principalmente per dissidenza e opposizione al Presidente Ortega.

Sentite le testimonianze di detenuti e detenute e dei rispettivi familiari negli ultimi sei mesi, l’UDJ ha denunciato diverse e gravissime irregolarità nel sistema giudiziale nazionale. Il report illustra svariati casi di irruzioni e perquisizioni personali e abitative effettuate senza mandato, sparizioni degli arrestati, mancanza di informazioni ai loro familiari – fino all’istituzione di processi in videochiamata e in  condizioni degradanti e antigieniche delle celle di La Modelo, carcere della capitale Managua.

L’accanimento verso “gli oppositori” risale ai fatti della primavera del 2018: il Nicaragua fu scena di violenti scontri tra popolazione civile e polizia. Le manifestazioni contro la riforma del sistema previdenziale, infatti, furono represse senza misura e contarono centinaia di morti (dati non confermati parlarono di 400 vittime). Da quel momento, condannato dalle Nazioni Unite, la Presidenza di Daniel Ortega, in carica dal lontano 2007, è nel mirino di attivisti di diritti umani e oppositori alle linee di governo: di rimando, questi ultimi sono stati e sono tuttora monitorati dalle istituzioni fino a diventare vittime di soprusi e ingiustizie.

Insegnanti e studenti, scrittori e giornalisti, leader politici ma anche esponenti e dissidenti del clero: attivisti e attiviste nemici giurati del governo e bollati come “traditori della patria”. Un anno fa, 222 detenuti politici, in carcere per nessuna ragione – se non quella di manifestare il proprio dissenso – vennero improvvisamente esiliati negli Stati Uniti e privati della cittadinanza. Il tutto, senza avviso e senza giudizio: chi si oppose al provvedimento, come il vescovo Rolando Alvarez, aveva ottenuto un regime di massima sicurezza oltre vent’anni di carcere.

Amnesty International denunciò il Presidente Ortega, la sua Vice (Rosario Murillo, peraltro sua moglie) e le autorità tutte di usare le istituzioni statali per “Intimidire, punire e sradicare ogni forma di opposizione politica e di difesa dei diritti umani sul territorio” – come aveva dichiarato Erika Guevara Rosas, Direttrice per le Americhe della ONG.

Appena un anno dopo, è arrivata la denuncia dell’UDJ di uno scenario addirittura peggiorato. Ormai i prigionieri politici non vengono nemmeno portati in tribunale per essere processati, ma sono dichiarati colpevoli tramite videochiamate al cospetto di un giudice. Inoltre gli avvocati sono messi al corrente delle accuse mosse, per cui non possono formulare alcuna difesa concreta. Un’altra pratica spesso rilevata negli ultimi sei mesi è stata quella di negare a parenti dei detenuti ed ai loro avvocati ogni informazione, compresa quella del luogo in cui si trovano.

Un ulteriore elemento di arbitrarietà e violazione è quello di traslare i fermati direttamente al carcere e di farlo senza avere accuse formali nei loro confronti: qui vengono interrogati, e diverse sono le testimonianze che parlano di violenze e torture, direttamente dal Sistema Penitenziario. Secondo Legge, invece, è la Polizia accreditata a fornire prove con cui incriminare.

Del resto, anche la situazione all’interno delle carceri del Paese è da denuncia: cimici e parassiti nelle celle, cibo avariato, restrizioni a servizi igienici e, soprattutto, scarso accesso ad eventuali farmaci abitualmente utilizzati. Diverse sono anche le esperienze di familiari in visita che hanno parlato di maltrattamenti e molestie nei propri confronti da parte delle guardie carcerarie.

L’UJD ha definito questa condizioni come “Modelli repressivi strumenti dell’apparato statale per reprimere in Nicaragua”, affermazione simile a quella cui era arrivata Amnesty appena un anno fa.

Articolo a cura di Sara Gullace

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