Il Vampiro della foresta: una storia emozionante di Emilio Salgari
La recensione del racconto d’avventura del più grande scrittore italiano del genere.
Il vampiro della foresta è una delle innumerevoli opere nate dalla scintillante immaginazione di Emilio Salgari (nato a Verona, il 21/08/1862; morto a Torino, il 25/04/1911).
Il racconto è stato pubblicato nel 1912, dalla casa editrice Biondo (Palermo). L’autore del racconto è Guido Altieri (nome d’arte utilizzato da Salgari per pubblicare alcune delle sue opere; a volte usò anche “Capitano Guido Altieri“). La ragione di tale pseudonimo va ricercata nella necessità di Salgari di riuscire a liberarsi da taluni impegni contrattuali eccessivamente stringenti presi con l’editore A. Donath (primo editore esclusivista dello scrittore veronese).
Il vampiro della foresta è, quindi, un breve racconto offerto dal grandissimo “Corsaro della penna” ossia il più grande scrittore italiano di romanzi d’appendice (detti anche “romanzi d’avventura” oppure “feuilleton”; quest’ultimo è un termine transalpino atto a designare i romanzi che venivano pubblicati a episodi – generalmente il giorno di domenica – sulle pagine di un giornale oppure di una rivista).
Come si nota dalla lettura della trama, la narrazione contiene tutti i principali ingredienti che compongono il classico menù del volume salgariano: ambientazioni esotiche, contrapposizione tra eroici protagonisti e diabolici antagonisti, scontri epici contro belve feroci, duelli mortali, continua suspense, grandi tesori e immense ricchezze. Insomma, oggi potremmo parlare di un vero e proprio thriller. A distanza di anni, il celebre autore italiano riesce ancora a suscitare fortissime emozioni penetrando in guisa decisa nei cuori dei suoi amati e numerosi lettori.
Il vampiro della foresta è un racconto che catturerà la vostra attenzione lasciandovi a mozzafiato!
Il racconto narra delle vicende occorse a due fratelli siciliani, Giovanni e Marco Puraco – entrambi poco più che venticinquenni – che lasciano la Sicilia per far fortuna.
In particolare, emigrano per diventare cacciatori d’oro di professione. Dopo aver setacciato le miniere d’argento della Plata, sul finire dell’Ottocento i due fratelli siculi si dirigono in Uruguay, dove è scoppiata la febbre dell’oro per via della scoperta della presenza di numerose pepite. I due siciliani si muniscono di armi e di un mulo per portare a termine la loro preziosa impresa.
Qui, però, inizia l’avventura! La storia è ambientata in una delle tipiche foreste pluviali, oggetto di una meticolosa e magistrale descrizione da parte dell’autore. I giovani siculi, partiti dal Plata, dopo 15 giorni di cammino giungono nel bel mezzo di una foresta ricchissima di una vegetazione lussureggiante e abbondante, tanto da non far penetrare alcun raggio di sole nel sottobosco pieno zeppo di liane, maestosi tronchi d’alberi d’ogni specie e un’infinita varietà di piante carnivore pericolose. La foresta è inoltre popolata da una moltitudine di animali selvatici che caratterizzano normalmente la fauna delle foreste sudamericane. Trovato un punto ideale per erigere un rifugio di fortuna, Giovanni e Marco incontrano casualmente un personaggio molto inquietante che si presenta a loro come “il vampiro della foresta”.
Si tratta di un indigeno di imponente statura, con viso e sopracciglia dipinti e con le labbra forate per mantenere due zanne di cinghiale, armato di una canna alta circa 2 metri e di un fascio di frecce che avvelena col succo di curaro. Nativo della foresta, è accompagnato da un pipistrello enorme che egli stesso ha addomesticato. Proseguendo la lettura del racconto, si viene a scoprire che il tenebroso indigeno gode altresì della compagnia di un giaguaro – la “tigre del Sudamerica” – anch’esso da lui ben addestrato. Le due feroci fiere rispondono, infatti, a ogni comando del loro misterioso e, al contempo, inquietante padrone, quasi s’intendano alla perfezione. Un vero prodigio che incute, però, timore nei due fratelli, almeno all’inizio. Il “vampiro della foresta”, che parla un idioma spagnolo noto e compreso ai due siciliani, non fa altro che intimare ai due italiani di abbandonare la foresta, altrimenti andrebbero incontro alla morte per mezzo del lento e cruento dissanguamento operato dal suo vampiro, oppure per opera del suo giaguaro farebbe brandelli della loro carne, oppure per via delle frecce avvelenate nel succo del curaro.
I fratelli, inizialmente spaventati, non si lasciano però scoraggiare da simili tremende minacce; e così, bramosi di diventar ricchi in soli pochi mesi, convengono di proseguire la loro caccia all’oro. Una mattina, i due giovani siculi si svegliano, però, indeboliti e ancora sanguinanti: il vampiro gigante li ha azzannati e dissanguati nella notte. Dopo alcuni giorni, Giovanni e Marco – rimessisi in forze – decidono di annientare l’orrendo volatile nonché il pericoloso felino e ovviamente il loro malvagio padrone. E così, dopo vari tentativi, nell’ordine Giovanni e Marco riescono a far fuori con i loro fucili il vampiro, il giaguaro, che viene appositamente scuoiato per conservare la sua pelle quale ricordo indelebile di questa loro avventura oltre che come cimelio di caccia.
Infine, Giovanni e Marco uccidono con le loro armi da fuoco anche il famigerato “vampiro della foresta”. In particolare, quest’ultimo, una volta colpito da una delle pallottole sparate da Giovanni (appollaiato con il fratello sui rami di un albero fitto e imperscrutabile), riesce a fuggire nella foresta eludendo l’inseguimento dei due fratelli siciliani. Alcuni giorni dopo, Marco e Giovanni – nel corso di una battuta di caccia – si imbattono in uno scheletro divorato dalle formiche termiti. Quelle erano, ormai, le poche ossa rimaste del temuto “vampiro della foresta”. Lo scheletro viene identificato dai fratelli siciliani per mezzo della cerbottana ritrovata nelle vicinanze dei resti umani nonché di un ciuffo di piume di pappagallo. Di lì a un mese, i fratelli riusciranno a trovare e accumulare ben 40 kg di oro divenendo ricchissimi. E così – ormai ricchi più che mai – Giovanni e Marco decidono di far ritorno nella loro amata madrepatria: la Sicilia…portando ovviamente con loro la pelle del giaguaro e, appunto, l’oro.
Articolo a cura di Francesco Ciavarella