“Picasso lo straniero”: a Milano una mostra che riscopre il grande artista
Fino al prossimo 2 febbraio Palazzo Reale ospita un’esposizione “nuova” dedicata al pittore, scultore e litografo spagnolo.
Su Pablo Picasso sembra sia stato già detto tutto. Ma la nuova mostra allestita a Palazzo Reale di Milano pone l’artista spagnolo sotto una nuova luce, indagando la sua condizione di straniero in Francia. Discriminato dall’alta società e persino schedato dalla polizia francese, riuscirà a vincere le istituzioni con la forza della propria arte.
La mostra a Milano ci presenta un Picasso nuovo
Centinaia di dipinti, migliaia di riproduzioni, numerose fotografie, innumerevoli discorsi sulla genialità di Pablo Picasso. Questo e molto altro è ciò che possiamo trovare in libri, mostre, eventi, case di tutto il mondo. Ma, con l’eccezione di Guernica, poco si dice di Picasso come uomo nella storia, a partire dai suoi primi soggiorni in Francia, dove giovanissimo dipingeva incessantemente in una stanza decadente di Montmartre, reietto tra i reietti, ma fortemente attratto e ispirato dalla Parigi dell’ombra.
Poco si dice di quando Picasso si aspettava di essere accolto a braccia aperte dalla città degli artisti, ma si è ritrovato a lottare con le istituzioni, gestite dall’alta società perbenista e borghese. Poco si dice del supporto ricevuto dalla comunità catalana, dagli artisti parigini, dai politici e gli intellettuali che ancora credevano in una Francia portatrice di libertà, riscatto e rivoluzione.
Poco si dice di “Picasso lo straniero”, una sfaccettatura dell’artista indagata invece nella mostra visitabile fino al 2 febbraio 2025 a Palazzo Reale a Milano. L’idea è nata dalla storica Annie-Cohen Solal, che si è imbattuta in diversi documenti relativi a Pablo Picasso a cui non era stata data grande importanza. Collaborando con Cécile Debray, presidente del Museo Nazionale Picasso di Parigi, ha voluto mostrarli al mondo, dando vita a un’esposizione unica e stimolante.
Picasso non percorreva mai le stesse strade
“Un’altra mostra su Picasso?” è stata la prima reazione di Donenico Piraina, direttore di Palazzo Reale, dopo aver sentito la proposta. Lo ha confessato durante la conferenza stampa, facendoci sentire un po’ meno soli. Ovviamente, poi, si è ricreduto. Continua Piraina: “Se Munch (anch’egli presente in mostra a Palazzo Reale, NdR), ha bisogno di essere liberato dal biografismo che è impregnato nelle sue opere, con Picasso è il contrario. Bisogna cominciare a leggere il suo operato anche attraverso la sua vita”.
Di lui come persona abbiamo diverse testimonianze. Un critico dell’epoca disse che “Picasso è una specie di moto perpetuo. Lo cerchi di qua ed è già andato di là, e non ripercorre mia le stesse strade”. Anche nella sua arte aveva questo temperamento: trovava e anzi costruiva nuove strade nella metaforica grande città dell’arte, rivoluzionando ciò che già tutti conoscevano. D’altra parte, fare arte significa anche creare qualcosa di nuovo a partire da quello che nel mondo c’è già, e che deve soltanto essere liberato, messo sotto una nuova luce e riscoperto.
Il documento che dichiara Picasso “straniero”
Su questa stessa linea, quindi, la mostra vuole parlare di Picasso in modo nuovo, indagando la condizione di straniero che ha caratterizzato tutta la sua vita. Non tanto “interpretando” in modo innovativo le sue opere, che peraltro alla mostra sono accompagnate solo da titolo e anno di produzione. Lo scopo è invece quello di tenere per mano i visitatori, aggiungendo all’esperienza individuale dell’osservatore alcuni tasselli, così che le tele possano rilasciare tutto il loro potenziale.
Per questo durante la visita è importante, più di altre volte, farci trasportare dai pannelli esplicativi. Tanto più che sono presenti anche documenti burocratici, lettere, video e fotografie che necessitano di un collocamento storico. Per esempio, troviamo il Dossier d’etranger (dossier dello straniero), un fascicolo redatto dalla prefettura di Parigi nel 1901 che bolla Pablo Ruiz Picasso come spagnolo anarchico e pericoloso, sottoponendolo a sorveglianza speciale. Una testimonianza difficile da inquadrare senza un’idea della situazione sociale in cui l’artista viveva.
Gli anni della gioventù a Parigi
All’inizio del percorso espositivo ci viene introdotto il periodo giovanile di Picasso. Nato a Malaga e vissuto a Barcellona, visita più volte Parigi all’inizio del novecento. Qui, se da un lato si trova in affanno per riuscire a sopravvivere con pochi spiccioli per squallidi alberghi, dall’altro è inebriato dall’eccitante atmosfera bohémien di Montmartre.
Nonostante, come già detto, venga schedato dalla polizia, nel 1904 Picasso si trasferisce definitivamente nella capitale francese per trovare più opportunità come artista. Lo specchietto per le allodole è stata la selezione di uno dei suoi quadri per l’esposizione universale del 1900 a Parigi. Non si immagina che, per godere totalmente del successo assaggiato nel padiglione spagnolo dell’evento, avrebbe dovuto superare lunghi periodi di difficoltà economiche, discriminazioni e lavoro durissimo.
A Milano troviamo alcune delle sue prime opere, che rappresentano la Parigi degli oppressi, tra i quali egli nasconde talvolta degli autoritratti: donne provate dall’indigenza e altre lascive, uomini immersi nei fumi dell’alcol, saltimbanchi ridenti ma solo grazie alle loro maschere di trucco. Tutti in contrasto, come lui, con la società ipocrita che li discriminava.
Un assaggio della mostra su Picasso a Milano
Ecco cosa si legge in uno dei tabelloni espositivi della mostra:
[Picasso N.d.R] Si stabilisce […] in uno dei fabbricati più precari e fatiscenti della capitale, una costruzione […] che trasuda indigenza, edificata in fretta e furia con assi e finestre, appoggiata, in pendenza, alla collina. Dispone di un solo punto di erogazione dell’acqua potabile per una trentina di abitazioni torride d’estate, gelide d’inverno, che gli artisti adibiscono a studi. […] È una di quelle bidonville indecenti in cui la capitale stipa immigrati e marginali e che, regolarmente, vanno a fuoco. Dopo Max Jacob, Picasso incontra un altro poeta, Guillaume Apollinaire […]. Come Max (bretone, ebreo, omosessuale), Apollinaire è a sua volta un outsider: è uno straniero emigrato in Francia, ufficialmente apolide, nato a Roma da padre ignoto e da un’aristocratica polacca.
“Picasso lo straniero” parla a tutti
Come ha affermato alla conferenza stampa Emanuela Bassetti, vicepresidente di Marsilio editori, “Questa mostra parla a tutti. L’arte non vuole più essere per gli happy few. Di solito non si mette un’opera vicino a un documento. Qui invece lo hanno fatto in modo innovativo, perché l’arte deve essere sociale. Ogni artista ha un background da cittadino e vedere quel loro lato ci serve anche per capire e interpretare la realtà che vivono i cittadini di oggi, […] perché gli artisti sono i sismografi delle loro epoche”.
Nell’epoca della Francia di inizio novecento, il clima era decisamente pesante. Un anarchico italiano aveva assassinato il Presidente della Repubblica e stavano emergendo nuovi problemi sociali dati dall’industrializzazione e l’invecchiamento della popolazione. Un momento perfetto per incolpare gli stranieri, giunti in Francia convinti di trovare una nazione accogliente e all’avanguardia, da duecento anni paladina dell’autodeterminazione dei popoli. Invece, due grandi istituzioni si stavano facendo strada, in linea con i nascenti moti nazionalistici europei: la Polizia degli Stranieri e l’Accademia di belle arti, che tutelavano ossessivamente la purezza della nazione e il buon gusto francese.
Il commento del sindaco Giuseppe Sala alla mostra su Picasso
Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si è concentrato su questo aspetto storico e sociale dell’esposizione, proponendo un confronto con l’attualità.
“La nuova mostra diventa un richiamo alle contraddizioni di una società che ancora oggi, troppo spesso, rifiuta lo straniero e si arrocca nel malinteso senso identitario che si traduce in chiusura provinciale, paura del diverso, incapacità di dialogo, refrattarietà all’innovazione. Quello dell’accoglienza è un tema che da sempre si intreccia con la storia di Milano, città che nei secoli ha fatto dell’apertura verso l’esterno una sua virtù peculiare. Milano, oggi come ieri, cresce e si afferma come grande polo culturale grazie proprio alla capacità di accogliere chi è «straniero», offrendo occasioni di espressione di realizzazione personale e ricevendone in cambio stimoli ed energie che si tramutano in fattori concreti di sviluppo e di progresso.”
Il periodo di isolamento di Picasso
Si potrebbe dire lo stesso di Parigi, ma non per l’inizio del Novecento. La città non aveva accolto nemmeno colui che sarebbe diventato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Tanto che, nel 1906, Picasso fugge da Parigi, sua croce e delizia, per rifugiarsi nel villaggio pirenaico di Gósol. Il paese era raggiungibile solo a bordo di un mulo per una strada sterrata di ventotto chilometri. Pablo iniziava a soffrire la sua condizione di emarginato e perenne ospite. Egli, certo, si era riconoscente verso coloro che lo aiutavano a integrarsi. Il dover dipendere da altri per avere un’identità, però, gli impediva di esprimere liberamente le sue idee e il suo estro.
A Gósol, distante dal caos e dalle convenzioni della grande città, ha potuto scavare nella sua interiorità, ritrovando uno sguardo più puro verso il mondo, da tempo perduto. Nelle opere di questa fase, come Nudo con le braccia alzate, si vede come l’artista inizi ad abbandonare le forme standard e i dettagli aneddotici, per dare spazio all’essenza dei soggetti. Aveva deposto i primi semi del periodo cubista.
La fama e il successo non bastano: Picasso resta straniero
Tornato a Parigi, in molti ormai lo riconoscevano quale artista d’eccellenza, innovativo e dal talento indiscutibile. Nonostante ciò, nel 1929 il Louvre rifiuta la donazione di uno dei suoi quadri più belli (usando una terminologia semplice, che forse a Picasso sarebbe piaciuta), Les demoiselles d’Avignon. Il quadro verrà invece esposto dal MoMa di New York con grande orgoglio. Ma Picasso non demorde. Nel 1940 presenta l’ennesima richiesta di cittadinanza francese, di cui abbiamo il modulo a Palazzo Reale. Era innegabile l’importanza anche culturale dell’artista, specialmente dopo aver dipinto Guernica (1937) con cui ha denunciato le atrocità della guerra e si è opposto fortemente al regime di Franco, acerrimo nemico della Francia liberale.
Nonostante questo, egli ha ricevuto ancora porte in faccia. Pablo Picasso non poteva essere chiamato francese e rimaneva un pericoloso straniero che minaccia l’unità e la purezza della nazione. Così, come testimonia un articolo de L’Humanité del 1944, presente alla mostra, Picasso annuncia la sua adesione al Partito Comunista Francese. Forse voleva trovare nella politica un altro modo di integrarsi in società.
Picasso e l’avanguardia
Non è un caso che in questi difficili anni l’artista crea le sue opere più avanguardiste, come “Grande bagnante con libro”, Donna che lancia una pietra, Ragazzo con aragosta, Donna seduta con cappello. Fino ad arrivare allo scioccante Guernica o al tragico Donna che piange. Questi dipinti, decisamente non “realisti”, in qualche modo trasmettono emozioni che soltanto la realtà può dare.
L’avanguardia di Picasso non è quindi l’allontanamento e l’evasione dal reale, come si potrebbe dire del surrealismo. Piuttosto il pittore vuole riscoprire tutte le sfaccettature della realtà. Dei suoi personaggi, per esempio, vediamo tutti i lati contemporaneamente, persino ciò che dovrebbe essere celato sotto i vestiti. Non l’abbiamo menzionato, ma l’erotismo in Picasso è un ulteriore schiaffo al bon ton dell’alta società francese. Attraverso i quadri vediamo però anche i sentimenti e le emozioni dei soggetti, che creano immediata empatia. E, altro elemento innovativo, Picasso dà profondità non solo agli esseri umani. Pensiamo al cavallo in Guernica o al dipinto, presente a Milano, Minotauro cieco guidato da una bambina con fiori.
La Francia si è “picassizzata”
Insomma, da questa mostra emerge come il pittore abbia reagito alla sua condizione di straniero portandola a suo vantaggio. Ѐ diventato un occhio esterno che osserva il mondo e ci porta con lui per le sue strade. Un po’ come l’imperatore di cui parlava Borges, che voleva una mappa del suo impero talmente dettagliata che alla fine ricopriva interamente l’impero stesso. Picasso ha ricoperto la sua vita con l’arte, tanto da diventare indistinguibili. Di qui, forse, la difficoltà a concentrarsi su ciò che c’è dietro le sue opere, a cui invece ci riporta sempre l’esposizione milanese.
Il percorso si conclude con gli ultimi anni della vita di Picasso, quando era ricco, famoso e ancora in preda a nuove creazioni artistiche. Negli anni ’60, il ministro della cultura Charles de Gaulle decide finalmente di offrirgli la cittadinanza. Ma a quel punto Pablo Ruiz Picasso, incorruttibile paladino della sua stessa libertà, la rifiuta. Come ha affermato Domenico Piraina, si potrebbe dire che non è stato Picasso a “francesizzarsi”, ma è la Francia che si è “picassizzata”. E l’arte, alla fine, ha vinto.
Con la mostra di Milano, Picasso si avvicina a noi
Mi auguro che l’arte possa vincere anche oggi sulle discriminazioni e i pregiudizi e può essere che la strategia di farci conoscere Picasso come straniero funzioni. Infatti, il pubblico del nuovo millennio cerca un rapporto diverso con gli artisti e le celebrità. A metà del novecento, dopo il boom economico, si idolatravano le persone per il loro successo, ricchezza e fama, che in parte potevano essere raggiunte. Oggi le cose sono molto diverse.
Tra la perenne crisi dell’economia e una maggiore consapevolezza di ciò che succede nel mondo, le persone sono spesso sconfortate e non riescono a sognare una realtà migliore. Inoltre, essendo ormai in dieci miliardi, è difficile emergere, sentirsi qualcuno, o semplicemente vedersi rappresentati. I grandi personaggi, quindi, non sono più gli idoli staccati dalle masse, ma sono coloro che si fanno conoscere per le loro debolezze e per le difficoltà che hanno passato per arrivare dove sono. Per completare il quadro, i social hanno spianato la strada all’avvicinamento delle celebrità al grande pubblico e farli sembrare uno/a di loro.
Non so quanti Picasso ci saranno tra coloro che visiteranno la mostra, ma è confortante sapere che una delle stelle più brillanti dell’arte ha iniziato come umile tra gli umili, come persona non voluta, come straniero in cerca della sua patria. Anche se, alla fine, non l’ha trovata in una nazione, con i suoi rischiosi ideali patriottici, che possono sfociare, come ci ha insegnato il novecento, in odio e xenofobia. La patria, Picasso, l’ha trovata nelle sue ben più concrete e salvifiche opere d’arte.
Articolo a cura di Iris Andreoni
Immagini utilizzate su gentile concessione dell’ufficio stampa GZ Comunicazione