L’energia solare può dare acqua all’Africa. Ma è sostenibile?
L’energia solare potrebbe permettere a 400 milioni di africani che non hanno accesso all’acqua di prelevarla dal sottosuolo. Ma, nella grande corsa alle nuove tecnologie energetiche, dobbiamo assicurarci di non perdere di vista i piccoli progetti nei luoghi marginalizzati.
Una triste ironia
“Ѐ davvero una triste ironia” esordisce Alan MacDonald in un articolo pubblicato sulla versione online del The Guardian lo scorso 9 settembre. “Dei 400 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana – sottolinea MacDonald – molti non hanno accesso alle risorse di base per la sopravvivenza. Ma, a pochi metri sotto ai loro piedi, potrebbe esserci un’ingente riserva di acqua“.
Il giornale inglese spiega che l’acqua presente nelle falde sotterranee – immagazzinata cioè in piccoli spazi e fratture nelle rocce – rappresenta quasi il 99% di tutta l’acqua dolce allo stato liquido del pianeta. Secondo le stime, più della metà della popolazione globale farebbe già affidamento sull’acqua del sottosuolo per dissetarsi; uno dei vantaggi è che, durante una siccità, l’ambiente sotterraneo è molto più resiliente di quello superficiale. In più, si stima che nel continente africano il volume di acqua immagazzinato nel sottosuolo sia venti volte maggiore di quello contenuto in laghi e serbatoi in superficie.
Pertanto, le falde acquifere sono una grande opportunità per chi non ha accesso a questa risorsa, specialmente per dissetarsi e irrigare i campi. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che si potrebbe utilizzare la grande capacità dell’energia solare per caricare le strutture estrattive, risulta innegabile il potenziale di sfruttamento di questa risorsa per fornire regolarmente acqua pulita alle comunità. Infatti, il solare diventa di anno in anno sempre più economico, tanto che si potrebbe finalmente riuscire di affrontare e risolvere le insicurezze idriche di molti paesi senza far ricorso alle fonti fossili.
I problemi dell’energia solare per estrarre l’acqua
È chiaro quindi che, per dare inizio a un cambiamento significativo, è decisamente arrivato il momento di porre l’attenzione sulle falde acquifere. Nonostante ciò, il Guardian puntualizza la complessità di concretizzare tutte queste ipotesi. I problemi maggiori sarebbero principalmente due.
Il primo riguarda il pericolo del sovrautilizzo. Infatti, con l’abilità di estrarre grandi volumi di acqua grazie all’energia potenzialmente infinita del sole, si creerebbe anche la possibilità di sfruttare eccessivamente, fino all’esaurimento completo, le risorse di acqua sotterranea. Questo è un punto cruciale che riguarda anche grandi parti dell’Asia, del Medio Oriente e degli Stati Uniti.
Secondariamente, quando si utilizza una nuova tecnologia, non bisogna perdere di vista le limitazioni geologiche e ambientali a vantaggio dell’unico fine di beneficiarne appieno. Infatti, non vi è ancora la possibilità, per quanto riguarda l’estrazione di acqua con energia solare, di raggiungere tutte le zone dell’area: circa il 30% della popolazione rurale dell’Africa vive su antiche rocce che potrebbero non supportare i ritmi di prelievo più alti richiesti da grandissime pompe solari. Un recente studio della British Geological Survey, pubblicato insieme alla Paris-Saclay University, mostra come la limitazione principale all’attività di estrazione con tecnologie fotovoltaiche sia la conformazione geologica del territorio, non certo la disponibilità di sole.
The solar pump revolution could bring water to millions of Africans but it must be sustainable and fair | Alan MacDonald https://t.co/eFWSaeA1Hp
— Guardian Environment (@guardianeco) September 9, 2024
L’energia solare per avere l’acqua non è una panacea
Secondo l’opinione di Alan MacDonald, autore dell’articolo del Guardian, bisogna diffidare di coloro che vedono questa rivoluzione solare come una panacea, focalizzandosi solamente sull’installazione su larga scala di interi sistemi che estraggono grandissimi volumi di acqua sotterranea per canalizzarli alle case o alle fattorie. Tuttavia, oltre ai grandi progetti, bisognerebbe continuare a investire in questa tecnologia su piccola scala, in particolare per l’acqua delle coltivazioni. Per esempio per le pompe a mano o per quelle solari a basso rendimento, che sono più appropriate per la geologia di alcuni territori. Queste pompe più piccole potrebbero addirittura essere più efficaci nell’aumentare l’accesso all’acqua per le comunità rurali, e rappresenterebbero un’ulteriore salvaguardia contro l’utilizzo eccessivo.
Infatti, dove la geologia territoriale risulta più delicata e le rendite sono più basse, i piccoli sistemi solari possono pompare l’acqua necessaria per la giornata, sia per l’uso domestico sia per quello produttivo. Si può poi immagazzinarla per quando davvero se ne ha bisogno, senza sprechi o investimenti ingenti di denaro. L’ideale, come scrive il giornalista, sarebbe trovare un equilibrio tra l’investimento economico e l’impatto ambientale, in modo da attrarre sempre più sostegno finanziario. E così dovrebbe essere, dal momento in cui, qualora funzionino, cambierebbero le vite di milioni di persone.
Si potrebbe quindi dire che la combinazione tra tecnologia solare e acqua sotterranea sia un grande successo. Ma questo successo, aggiunge MacDonald, andrebbe misurato non in termini di persone aiutate, ma di quelle lasciate indietro. Questo approccio aiuterebbe a concentrarci su una soluzione comprensiva per tutti i gruppi sociali. Infatti, se le scoperte tecnologiche e in generale il progresso sono entusiasmanti, è anche essenziale non dimenticarci delle comunità più marginalizzate e vulnerabili.
Il Congresso a Davos sulle falde acquifere
Come si era anticipato in questo articolo, il tema dell’energia solare utilizzata per estrarre acqua dal sottosuolo è stata discussa al Congresso sulle falde acquifere tenutosi a Davos, in Svizzera, dall’8 al 13 settembre 2024. L’evento annuale, organizzato dall’Associazione Internazionale dell’Idrologia (IAH), ospita rappresentanti delle università, dei governi e delle aziende del mondo, i quali condividono le ultime ricerche. Nel calendario di Davos, dovevano anche essere discusse le sfide sociali che esse possono comportare.
Su quanto è stato detto, condiviso e deciso al congresso però non si sa ancora molto. L’unica testimonianza che abbiamo è il discorso tenuto dalla idrologa namibiana Alina Kadhila Emphasised, riportato dal giornale locale The Villager. La scienziata ha affermato che in Namibia molta acqua arriva nelle cittadine e nei villaggi grazie a canali che la trasportano dai fiumi. Ma, a causa della siccità e, più recentemente, di atti vandalici, ad oggi non sono più affidabili. Secondo la scienziata si potrebbe pensare alla desalinizzazione dell’acqua, come già viene fatto in alcune località costiere. Per questi progetti però è necessario un ingente investimento di soldi, tempo e risorse energetiche, soprattutto per i luoghi a basso reddito. Il prelievo di acqua sotterranea sarebbe quindi una soluzione ancora più nuova ed efficiente. Prima però, ha detto Kadhila, servono delle accurate analisi qualitative.
Nuove prospettive
I dubbi di Kadhila sono legittimi, e il Congresso IAH arriva nel momento giusto. I partecipanti hanno confermato che ad oggi l’abilità di mappare le falde acquifere che attraversano il continente africano non è mai stata così grande. Inoltre, nuove ricerche sulla geologia dell’Africa stanno aiutando gli idrogeologi a predire quali aree hanno maggior potenziale per le pompe a energia solare. Infine, si sta implementando una nuova tecnologia facile da usare per valutare meglio la qualità delle acque. Anche le comunità stesse sono di grande aiuto per determinare le modalità più sostenibili per i rifornimenti di acqua. Certamente, è anche fondamentale l’aiuto di donatori privati e governi, che si stanno sempre più interessando alla qualità delle filiere rurali.
Il greenwashing è sempre dietro l’angolo
Sperando di avere informazioni ulteriori sull’esito del congresso, è interessante notare che, in cima alla lista degli sponsor dell’evento, è presente l’azienda multimiliardaria Nestlé. Questa multinazionale è stata negli anni accusata e in certi casi condannata per decine di reati ambientali e sociali.
Negli anni ’70 ha subito un boicottaggio internazionale per aver venduto con marketing ingannevole latte per neonati a madri indigenti, facendo credere loro che potesse essere un buon sostituto del latte materno. Questa strategia di marketing, esacerbata dalle condizioni precarie di tali famiglie, aveva comportato molte carenze nutritive nei bambini e talvolta anche la morte. Nel 2018 una ricerca della Changing Market Foundation ha confermato la pubblicità ingannevole, la quale senza una condanna definitiva, sta continuando ancora oggi. Nel maggio 2015 l’azienda è stata accusata per contaminazioni di piombo all’interno di alcuni noodles venduti in India. Vi è poi una condanna per concorrenza sleale con una piccola impresa, molte accuse di frodi doganali e sfruttamento di lavoratori e territori per l’estrazione di olio di palma (presente in grandi quantità nei suoi prodotti).
Non potevano mancare poi denunce e provvedimenti internazionali per operazioni di greenwashing. L’accusa più recente all’azienda è del 2024: Nestlé avrebbe aumentato la percentuale di zuccheri nei prodotti per bambini nei paesi più indigenti, tra cui quelli dell’Africa, con il solo fine di aumentarne le vendite, sfruttando l’inconsapevolezza delle persone.
Nestlé e le accuse sull’acqua
Ma la gravità di questo sponsor all’evento di Davos risiede in due accuse che riguardano proprio l’acqua. Nel febbraio 2022 un’azienda sussidiaria di Nestlé è stata accusata di aver utilizzato acqua contaminata per produrre una pizza Buitoni, causando insufficienza renale nei bambini, di cui due sono morti. Infine, nel 2024, Nestlé ha venduto dell’acqua imbottigliata proveniente da falde contaminate da Escherichia coli. Per poter continuare a vendere indisturbata il suo prodotto avrebbe depurato l’acqua con filtri illegali e non dichiarati, continuando a scrivere sull’etichetta “acqua minerale naturale”, cosa che ovviamente non è dopo la depurazione. La commissione europea ha di recente confermato l’illegalità dell’operazione con un report di ammonimento.
Visto che, come scrive Alan MacDonald nella conclusione del suo articolo, bisogna rivedere questa “rivoluzione solare del pompaggio di acqua” in termini di equità per assicurare che questa preziosa risorsa sia utilizzata in modo sostenibile ed etico, forse gli sponsor sono il primo fattore da rivedere attraverso queste nuove lenti.
Traduzione di Iris Andreoni via theguardian.com
Immagine di copertina via Unsplash