25 novembre: per cambiare le cose le parole non bastano più
È di nuovo il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e anche quest’anno siamo scese in piazza per gridare la nostra rabbia.
Il 25 novembre 2023, esattamente un anno fa, scendevamo tutte e tutti in piazza, cariche di rabbia per il femminicidio di Giulia Cecchettin.
Sembrava fosse avvenuta una presa di coscienza generale. Ovunque si parlava di questo e chiunque aveva iniziato a chiamare le cose con il proprio nome: femminicidio, patriarcato, cultura dello stupro, spirale della violenza.
Sembrava ci si fosse resi conto, come società, del problema culturale alla base di tutta la violenza sulle donne: il possesso, che non è troppo amore, non è gelosia, non è un attimo di rabbia incontrollabile, non è essere mostri.
Questo, ormai, sembrava chiaro a tutti.
Ogni 72 ore
Eppure, un anno dopo, stiamo ancora contando quante donne sono morte per mano di un uomo. Stiamo ancora contando che, nel nostro Paese, ogni 72 ore avviene un femminicidio.
Allora cosa abbiamo imparato? A mettere altre panchine rosse? Ad alzare la voce senza agire?
È stato un altro anno in cui, invece di concentrarsi a contrastare attivamente un fenomeno sociale, il nostro Governo non ha fatto altro che cercare di affossare i diritti delle donne e della comunità LGBTQIA+. Ciò avviene anche a livello internazionale, la rielezione di Donald Trump come 47° Presidente degli Stati Uniti è la prova che le destre stanno sempre più prendendo potere. I nostri diritti saranno sempre più sotto attacco e a difenderci dobbiamo arrangiarci da sole.
La violenza maschile è trasversale. Cresce la richiesta di educazione sessuo-affettiva nelle scuole, sempre più necessaria. Il report di Fondazione Libellula, seconda edizione della Survey Teen 2024, evidenzia che 1 adolescente su 5 non sa riconoscere abusi nelle relazioni. La maggior parte di loro non distingue, infatti, con chiarezza il confine tra forme d’amore e forme di violenza. E, come se non bastasse, la maggioranza non prende seriamente il tema del consenso né quello dell’eccessivo controllo.
Per 1 adolescente su 5 non è violenza toccare una persona senza il suo consenso e nemmeno baciarla; uno su 4 ritiene normale raccontare ad altri dettagli intimi all’insaputa della partner o del partner.
Un terzo del campione della ricerca non ritiene che forme di controllo e limitazioni della libertà della partner siano forme di abuso.
Dalle risposte, sembra quindi che anche gli adolescenti abbiano già introiettato quella cultura che crea poi la retorica della vittimizzazione secondaria: te la sei cercata.
Sì, siamo ancora a questo punto.
Una questione di responsabilità
Qualche giorno fa un amico ha commentato una mia storia Instagram in cui parlavo del fatto che, usando app di incontri, in moltissimi profili maschili si legge che la preoccupazione di un uomo che esce con una donna conosciuta online sia quanto lei risulti “più brutta” rispetto alle foto. Mentre la prima grande preoccupazione di una donna che esce per un Tinder Date è di tornare a casa sana e salva. Quante volte è capitato di condividere la propria posizione con l’amica prima di uscire, avvisandola e partendo prevenute?
Questo mio amico era amareggiato della generalizzazione, e mi dice essere amareggiato anche di doversi sentire in colpa per il comportamento degli altri uomini, perché “non tutti sono così” (eccolo, proprio lui, NOT ALL MEN).
Allora ho fatto un respiro profondo (dietro un uomo decostruito, sappiatelo, c’è sempre una femminista esausta) e gli ho detto due cose: noi non chiediamo che vi prendiate la colpa, vi chiediamo di prendervi la responsabilità. Colpa e responsabilità sono due cose diverse.
È ovvio che non tutti gli uomini uccidono o stuprano, ma tutti gli uomini sono nati con un privilegio: nascere nel genere maschile che la società patriarcale ha eletto come genere superiore. La responsabilità di ogni uomo deve essere quella di riconoscere il proprio privilegio e lottare al nostro fianco per distruggere un sistema profondamente violento. Non servono belle parole solo il 25 novembre.
Chi sta dentro questi temi è davvero esausta, ma dovrebbe essere una sensazione che tocca chiunque quando, la mattina, ci si sveglia e come prima notizia si legge che è avvenuto un altro femminicidio o che un’altra donna è stata stuprata. Dovrebbero essere esausti tutti: donne e uomini, ragazze e ragazzi.
Ma, nonostante la stanchezza sia tanta, è nella collettività che continueremo a lottare, nella sorellanza troveremo la rabbia e le armi per distruggere un sistema che ci annienta, sia socialmente (il gender pay gap del 2024 è peggiorato rispetto al 2023: siamo all’87° posto secondo il World Economic Forum, su 146 Paesi) sia individualmente.
Siamo stanche, sì, ma siamo sempre furiose.
Articolo a cura di Giada Giancaspro
Immagine di copertina via serenoregis.org