Più libri… ma a quale prezzo?
Il caso Caffo ha puntato i riflettori su un evento che già da anni scricchiola. L’ipotesi di boicottaggio della fiera, seppur legittima e comprensibile, ha riportato all’attenzione la difficoltà con cui i piccoli editori navigano nel mare di una distribuzione oligopolica.
Ci siamo occupati del tema più volte, l’ultima lo scorso anno, al termine della 21ª edizione della fiera. Più Libri Più Liberi nasce allo scopo di opporre al monopolio dei grandi gruppi la pluralità e la differenza dell’editoria media e piccola, ma ormai, accanto ai piccoli, alla fiera partecipano case editrici che sono tutt’altro che piccole.
Non afferire a un gruppo editoriale non significa automaticamente essere piccoli. Alcuni espositori hanno stand più estesi di altri e migliori posizioni. La fiera riproduce i rapporti di forza che ci sono nel mercato. Anche negli spazi degli eventi entrano le logiche del fuori-fiera. È un’illusione pensare di avere uguale peso e di ricevere pari attenzione.
L’affollamento dello spazio non gioca a favore di quello che doveva essere uno dei principi della fiera: l’incontro fra lettori ed editori. È un po’ la logica del centro commerciale. Il libro non è solo arte, non è solo cultura: è un prodotto, è una merce in vendita. Per non affogare e scomparire tra gli scaffali di librerie e fiere, gli editori producono libri a oltranza. Più libri, più visibili. La sovrapproduzione è l’anima del sistema capitalistico.
Ci interessa solo che aumenti il numero di libri e lettori oppure vogliamo fare un’analisi dei prodotti culturali consumati? Nel mercatone sotto la nuvola, le realtà editoriali sono tutte virtuose? L’essere indipendenti è garanzia di buone pratiche? Contratti iniqui, lavoro sottopagato, sfruttamento: altro aspetto spinoso dell’editoria, la realtà dei suoi lavoratori.
Articolo a cura di Sara Concato