Blackrock rinuncia all’obiettivo “emissioni zero”. La finanza esce dalla lotta per il clima
Blackrock non supporterà più il gruppo Net Zero Asset Managers per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero dei suoi investimenti entro il 2050. Dopo questa decisione, il gruppo NZAMI ha sospeso le sue attività, sancendo la fine della lotta alla crisi climatica da parte della finanza mondiale.
Blackrock lascia il Net Zero Asset Managers
Anche Blackrock, una delle più grandi multinazionali di investimenti e consulenza finanziaria, ha deciso di abbandonare il Net Zero Asset Managers, un gruppo nato per aiutare gli asset manager, cioè coloro che gestiscono gli investimenti, a raggiungere l’obiettivo emissioni nette zero entro il 2050. Dopo l’uscita del colosso di Wall Street, il gruppo NZAMI ha annunciato che sospenderà le proprie attività e si prenderà un periodo di revisione.
Net Zero Asset Managers è nato per affrontare quella che nel 2020 stava iniziando a essere percepita come un’emergenza, ovvero la crisi climatica. Infatti, molti e molte leader del mondo cercavano un modo di trasferire i capitali nazionali verso risorse di energia più pulite. Si sono poi resi conto che, per farlo, era necessario influenzare le grandi compagnie di investimento, che determinano gli andamenti del mercato, i prezzi delle risorse e, quindi, gli investimenti in esse. Gli asset manager che entravano a far parte della NZAMI si impegnavano a investire nella transizione energetica per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050. Il tutto per il fine più ampio di mantenere le temperature sotto agli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, come prevede l’accordo di Parigi.
Perché Blackrock aveva aderito alla NZAMI?
Nella pratica, lo NZAMI inviava dei delegati alle riunioni aziendali per indicare le decisioni migliori da prendere. Inoltre, il gruppo cercava di informare ed educare i manager e i loro clienti verso la transizione energetica, in modo da portare sempre più persone nella “barca dell’ecologia”. Questo, però, sarebbe stato un processo lungo, anche perché gli obiettivi del gruppo non erano poi così stringenti per le compagnie. Infatti, dal sito del gruppo NZAMI si legge come “gli asset manager sono manager, non proprietari di aziende”, non hanno cioè la totale responsabilità della sostenibilità dell’azienda che investe con loro. Il loro compito era però quello di influenzare le compagnie a fare dei passi verso la transizione. Ancora una volta, investendo tempo e denaro. Non proprio un’operazione conveniente.
Come mai, ci si potrebbe chiedere a questo punto, un asset manager avrebbe dovuto aderire al gruppo? Il gruppo NZAMI, va sottolineato, non era piccolo, né ininfluente. Contava più di 325 firmatari che gestiscono oltre 57,5 trilioni di dollari. Infatti, nel 2020 si stava diffondendo l’idea per cui “il rischio climatico è un rischio di investimento” e che quindi sul lungo termine gli investimenti nel “green” avrebbero portato a risultati vantaggiosi anche economicamente. Inoltre, cinque anni fa, chi prendeva una decisione in favore dell’ambiente, migliorava la sua reputazione nell’opinione pubblica e, quindi, i potenziali clienti.
Il ruolo di Trump nella scelta di Blackrock
Con la seconda ascesa di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, invece, le cose sono cambiate. Tracey Lewis, responsabile della politica climatica presso Public Citizen, un gruppo di difesa progressista, ha affermato: «Questo ritiro in realtà dimostra solo che ciò che hanno detto nel 2020 e nel 2021 era solo performativo e di marketing. Oggi – ha aggiunto – la verità sta venendo fuori, mentre tutte queste aziende stanno cercando di compiacere la nuova amministrazione».
Infatti, la stessa BlackRock ha dichiarato: «La nostra appartenenza ad alcune di queste organizzazioni (come NZAMI, ndr) ha causato confusione riguardo alle nostre pratiche, e ci ha sottoposto a indagini legali da parte di vari funzionari pubblici». Infatti, a novembre, BlackRock e i suoi concorrenti sono stati citati in giudizio dal Texas e da altri dieci stati guidati dai repubblicani e molti dei quali produttori di energia fossile, i quali li hanno denigrati, definendo i loro sforzi per contrastare la crisi climatica come “woke capitalism”.
Li hanno poi denunciati per violazione delle leggi antitrust, sostenendo che il loro attivismo avesse ridotto la produzione di carbone, danneggiando le aziende e, quindi, gli introiti degli stati e aumentato i prezzi dell’energia. BlackRock ha negato ogni illecito, ma ha comunque ceduto alle denunce e alle minacce, dicendo che queste cause legali “scoraggiano gli investimenti nelle aziende su cui i consumatori fanno affidamento”. Cioè la stessa Blackrock.
I padroni del mondo
Gli stessi problemi hanno interessato altre grandi multinazionali, come Vanguard, che lasciato il gruppo nel 2022, così come Goldman Sachs e Bank of America. I veri padroni del mondo, per citare il saggio di Alessandro Volpi (Alessandro Volpi, I padroni del mondo, Editori Laterza, 2024), sono quindi loro, non sono i CEO delle big tech, né tantomeno i capi di governo. I gestori dei fondi finanziari, sempre secondo Volpi, hanno davvero il potere di distruggere il mercato e la democrazia, e lo stanno già facendo.
Ad esempio, quando un’azienda è in crisi, gli asset manager iniettano in essa una grande quantità di denaro, come per esempio è successo con Microsoft e come continuano a fare con Apple o Nvidia. In questo modo, le azioni di queste aziende, che gli asset manager hanno acquistato, aumentano il loro valore e loro guadagneranno moltissimo denaro.
Questo però crea una bolla finanziaria indipendente dall’andamento del mercato e dall’economia reale e, quindi, non favorendo in realtà l’innalzamento del PIL di una nazione, ma aumentando semplicemente il guadagno personale degli investitori. Anche perché la crescita del valore delle azioni è molto più grande della crescita dell’azienda stessa.
Se la previdenza statale è un ostacolo al guadagno
Per iniettare denaro, però, le compagnie di investimento hanno bisogno di liquidità, che arriva dai soldi dei cittadini privati, i quali si rivolgeranno a loro soltanto se non possono più fare affidamento sullo Stato e quindi sulla previdenza pubblica. Per questo le compagnie di investimento hanno tutto l’interesse nel privatizzare ogni settore e ridurre al minimo il supporto statale.
Le compagnie più redditizie in cui investire e da mantenere, quindi, sono quelle private del settore oil&gas, del tabacco, delle armi, della sanità privata e delle carceri private, che rendono moltissimo, senza limiti dati dal denaro a disposizione dello stato. Ecco perché queste compagnie di investimento hanno davvero il potere di cambiare il corso della storia, senza contare il fatto che i loro gestori spesso rivestono ruoli nelle società sportive, associazioni culturali, e persino in enti benefici.
I guadagni di Blackrock
La rinuncia di queste compagnie al raggiungimento degli obiettivi climatici ci conferma, ancora una volta, che la transizione ecologica non va a braccetto con le aziende che hanno come unico obiettivo l’accumulo di denaro e che considerano l’agire per il bene comune come una perdita di questi soldi. D’altra parte, Blackrock gestisce 11mila miliardi di dollari e solo nel 2024 ha raccolto 641 miliardi di dollari da parte degli investitori, arrivando ad accumulare un capitale di 11.600 miliardi, in aumento del 15% rispetto all’anno precedente. Insieme, le prime dieci compagnie di investimento gestiscono 50mila miliardi di dollari, più del PIL di Cina e Stati Uniti messi insieme.
Investire sulle rinnovabili, anche se un giorno sarà sicuramente fruttuoso, oggi non è ancora abbastanza conveniente. I combustibili fossili, in quanto finiti, stanno aumentando il loro valore nell’immediato, con grande gioia per chi investe in essi con il solo scopo del guadagno economico. Chissà se, quando la crisi climatica colpirà anche le loro ville con piscina, come è successo a Los Angeles, capiranno che il benessere sociale è quello di tutte e tutti e in questo gruppo ci sono anche loro. O forse non lo capiranno, poiché loro, solo loro, saranno già su Marte?
Articolo a cura di Iris Andreoni
Immagine di copertina via Unsplash – licenza CC